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C’è un italiano in Silicon Valley che, in un mondo di post verità, ha appena venduto la sua startup di video giornalistici di qualità. Partito dalla Costiera Amalfitana con in tasca 600 dollari e un solo mantra: «Voglio farcela», in cinque anni ce l’ha fatta davvero. Adriano Farano, 37 anni, di Cava de’ Tirreni, ex giornalista, ha creato a Menlo Park nel 2012 Watchup, un’App che reinventa il concetto di telegiornale, restituisce valore a un’informazione di qualità e combatte le fake news.

 

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Ha conquistato investitori privati e industriali (dall’ex direttore del Wall Street Journal a Microsoft e Cnn) e oggi alle 15, ora italiana, ha annunciato la sua exit. La cifra non è stata comunicata ma si tratta di un’exit milionaira. Watchup è stata acquisita da Plex, un’App per lo streaming di contenuti multimediali, presente nella top ten delle più usate degli Stati Uniti (fonte Roku ). Si tratta di un’operazione che include sia contante sia azioni. Farano resterà in azienda con il nuovo ruolo di Head of Content. Nella trattativa, ha poi ottenuto che tutto il suo team passasse alla nuova società con un aumento di stipendio che, in alcuni casi, tocca il 50 per cento.

«La exit è un po’ il santo Graal della vita di un imprenditore. Ti senti come alla fine di una maratona. È un’esperienza bellissima: insegna che tenacia e passione premiano sempre. Se credi in un’idea e sei pronto a tutto per realizzarla, prima o poi, qualcosa succede», racconta Farano.

Sembra una favola ma è una storia vera. «Secondo i dati di Fortune, in Silicon Valley solo una startup su 300 riesce a raccogliere finanziamenti. Di queste meno del 10% riesce a fare un’exit». Gli italiani che ce l’hanno fatta si contano sulle dita di una mano. Nessuna exit, prima di di Farano, nel settore news. Ex bambino prodigio, folgorato dalla passione per il giornalismo a 9 anni, nel 2001 Farano è gia all’estero. Va a Strasburgo per un Erasmus e crea Café Babel, un giornale online tuttora presente in 35 città europee. Entra in contatto con l’Ambasciata americana a Bruxelles, che gli offre un viaggio in Silicon Valley. Qui conosce il capo della Fondazione Knight che gli parla della Knight Fellowship, una borsa di studio di Stanford che dà a 20 giornalisti, scelti in tutto il mondo, la possibilità di lanciare un progetto sperimentale per rinnovare i media. Farano partecipa e vince. È l’unico italiano. Terminata la borsa di studio e ormai innamorato di questa parte di mondo, decide di restare. 

Lancia Watchup, crea un team, bussa alle porte di migliaia di investitori. «La più grande difficoltà per una startup non è l’exit, ma è raccogliere il primo mezzo milione di dollari. Arrivato in Silicon Valley non ero nessuno. Ho contattato più di 1.000 investitori. Di questi solo 100 mi hanno fissato un appuntamento. In 89 mi hanno detto: «No grazie» e solo 11 mi hanno fatto un assegno. In Silicon Valley ci sono moltissimi Angel Investor, il cui motto è «Spray and Pray»: suddividi il tuo investimento in tante iniziative e prega che almeno una di queste abbia successo. Nel mondo delle startup, un’exit porta un investitore a moltiplicare di almeno 5-10 volte il capitale investito.

Come siete arrivati a questo traguardo? 
«Un anno fa abbiamo lanciato Watchup sulla Apple tv. Questo ci ha dato visibilità. Alcune grandi aziende hanno iniziato a cercarci. Negli Stati Uniti è in atto una rivoluzione in soggiorno: sempre più gente rinuncia alla Tv via cavo e sfrutta lo streaming. Oltre a Netflix, molti player si stanno buttando nel settore». Farano non fa il nome di Amazon, ma la sensazione che abbia trattato anche con Jeff Bezos è netta. «Avevamo corteggiatori più forti ma abbiamo scelto Plex perché è una società piccola con un enorme potenziale. Ha 10 milioni di utenti che passano sull’App 14 ore a settimana, più del doppio del tempo passato dagli utenti su Facebook. E rappresenta il dopo Netflix». 

«Fare un’ exit è come fare fundraising. In un caso prendi un assegno e rivedi solo periodicamente gli investitori, nell’altro li sposi, ma la strategia è la stessa. Non è stato facile. È stato un periodo molto intenso, caratterizzato da una forte pressione. Per sei mesi ogni settimana ho preso un volo per New York o per Seattle. E tutto questo si è intrecciato con la nascita del mio terzo figlio. Ma amo costruire. E tornerò a fare l’imprenditore. Rientrare in Italia? Mi piacerebbe, ma da lontano vedo un Paese impantanato. Ha potenzialità straordinarie ma il sistema tarpa le ali di chi vuole innovare che spesso, come nel mio caso, è costretto ad espatriare. La Silicon Valley è a tutti gli effetti un’isola felice in un’America che sta voltando le spalle al suo DNA fondato sui concetti di apertura e libertà».

Cosa insegna la tua storia ai più giovani? 
«Se guardo indietro, vedo la mia storia come un insieme di eventi concatenati. Come in natura, ci sono onde ed energia che collegano tutto, così accade nelle nostre vite. Ho messo energia e passione in quello che ho fatto e le cose si sono sviluppate quasi per magia, da sole. Ricordi la teoria dei puntini di Steve Jobs? Nella vita esiste un disegno, bisogna crederci, guardarsi indietro e cercare di unire i puntini. Duro lavoro e tenacia premiano sempre. Soprattutto se ci aggiungi un tocco di creatività italiana e – nel mio caso- di sana passione partenopea. A patto però di rispettare la regola non scritta che governa la Silicon Valley: no asshole». Che in altre parole vuol dire: cambiamo il mondo sì, ma senza fare gli “stronzi”.

 

Fonte: IlSole24Ore 

 

 

 

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