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spot homepadEsempio di puro genio, il corto è diretto da Spike Jonze e ha per protagonista FKA Twigs che balla in un’esperienza extra corporea. L’incrocio fatato tra le esigenze di chi ha pagato l’arte, e chi l’arte la crea.

Questo spot è un capolavoro assoluto, e meriterebbe un Oscar. Un esempio di puro genio, una prova artistica da esposizione permanente. L’incrocio fatato tra le esigenze di chi ha pagato l’arte, e chi l’arte la crea, in cui entrambi escono vincitori e sconfitti.

 

Spike Jonze è uno dei più illuminati autori del nuovo secolo. Il regista di Essere John Malkovich, autore di Her, si supera in un cortometraggio da statuetta.

I tempi scenici di questo capolavoro lisergico ruotano intorno a una giovane, descritta con pennellate da maestri di sceneggiatura. La protagonista (FKA Twigs) torna a casa da una grigia giornata lavorativa, facendosi spazio in ascensore. È lo stereotipo perfetto dell’essere umano post-post- moderno. Solo, lavoratore anonimo, schiavo del lavoro per permettersi un piccolo appartamento nella periferia di una metropoli.

Accende Homepod di Apple con un sussurrato “Hey Siri, suona qualcosa che mi piacerebbe”, come dire “non farmi pensare” o “tu mi conosci” “tu mi ami, Siri”. L’esperienza extra corporea di Jonze comincia con la giovane seduta sul divano, l’immagine si sfoca, e a poco a poco le dimensioni della casa si allargano, si distorcono in uno spazio-tempo chiaramente figlio di una esperienza allucinogena, che l’autore ha auto-censurato sostituendo la sostanza stupefacente con un bicchiere di alcool.

Siamo a questo punto del video e capiamo la forza rivoluzionaria di Spike Jonze contro i suoi stessi committenti. “Ci avete reso schiavi della tecnologia” sembra sussurrare Jonze, “anonimi, egoisti e soli nell’universo”. Quell’universo però, si espande. Una fotografia da Oscar con una splendida direzione scenografica accendono Siri, Apple, Dio, l’entità superiore attivata con Homepod e espressa tramite una canzone, Til It’s Over di Anderson .Paak, aumenta il campo percettivo della protagonista, e dello spettatore.

Un corridoio che ha tutta l’aria di essere una porta dimensionale trascina in un vortice di colori la protagonista. Il climax dell’esperienza è arrivato. L’autore sfida i canoni dell’etica invitandoci alla droga come unica via di fuga da una società di corporation come Apple senza anima, e vite miserabili. Poi, il colpo successivo di genio. La protagonista si ferma davanti a uno specchio, straordinario doppio per mostrare il vero “io”. Si sdoppia, balla da sola, si seduce da sola, vive una vita sola, ma felice.

L’atmosfera geniale dell’opera rende questo passaggio cupo. Non ci sono più gli arcobaleni di colori, ma solo buio, fino a che, nel finale la protagonista si allontana dal suo corpo nel buio. Sola. L’ultimo sorriso sul divano della giovane che canta è figlio della sua catarsi nella solitudine. Una solitudine che non potrà mai essere felice. La droga, l’estasi, lo sballo, la liberazione da tutti i mali è stata Apple, e il suo Homepod attivato da una impiegata stanca.

Apple è padrona dei nostri sogni, della nostra illuminazione, la nostra spacciatrice, e tutto si sistemerà, con un Homepod. Apple avrà esaminato questo spot centinaia di volte. Vivisezionato. Niente famiglie felici, niente bambini, niente vacanze con Homepod. Lui è riservato alle nostre vite solitarie, alle famiglie distrutte, ai perenni single, a tutti coloro, e sono tanti, che tra il non soffrire e l’amore hanno scelto di non voler provare dolore. La pillola blu del sonno delle passioni.

Torno a casa, ascolto Homepod, e sarà invece un viaggio nell’LSD, nel baratro della mia felicità personale. Una sorta di nonna preistorica di Her, ma già padrona della nostra vita.

Intorno a metà del video la ragazza si specchia e allontana la sua immagine delusa. Ma poi “l’ego” prende il sopravvento, lo specchio torna e trascina la giovane nell’ultimo quadro. L’accettazione della nostra rovina, di Spike Jonze. Moriremo strafatti, sul divano. Con Homepod.

 

 

 

 

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