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ferragni todsChiara Ferragni esce allo scoperto e sui social ammette pubblicamente di essere un “mezzo” per la pubblicità. Insomma le sue foto non sono “solo” scatti rubati alla vita quotidiana, ma sono anche studiati nei dettagli e venduti a clienti precisi. E’ solo un piccolo passo verso la fine della pubblicità occulta già denunciata all’Antitrust e all’Agcom – e a più riprese segnalata da Business Insider Italia -, ma qualcosa si muove. Anche perché da parte dell’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria (Iap) è in arrivo una stretta nei confronti della pubblicità occulta sui social. L’idea di fondo è proprio quella di mettere un freno alla disinvoltura con cui le star del web pubblicizzano questo o quel prodotto facendo finta di nulla. La pubblicità è certamente l’anima del commercio e non c’è nulla di male a far il testimonial di una crema o di una marca di pentole; piuttosto è grave che la relazione economica tra un marchio e un personaggio noto non sia resa pubblica.

 

ferragni tods ad

Insomma è difficile credere che Giorgia Palmas si svegli ogni mattina abbracciando un cuscino con la mano destra mentre brandisce un tubetto di Nivea con la sinistra senza avere un qualche tipo di ritorno. Così come nessuno crede che Belen Rodriguez si faccia fotografare con una marca di occhiali da sole scelti a caso. Anche la situazione di Fedez è paradossale: per un certo periodo le città italiane sono state tappezzate dalla foto del cantante che fuma una sigaretta a vapore, però poi sui social la stessa sigaretta viene postata come fosse uno scatto rubato alla quotidianità. I consumatori – soprattutto i più giovani – sono facilmente vittime della comunicazione occulta. Soprattutto quando i testimonial sono i loro idoli del momento.

BelenProprio per questo lo scorso anno, negli Stati Uniti, è intervenuta la Federal Trade Commission, sancendo a tutela degli utenti un principio sacrosanto, ma spesso dimenticato: “Qualora sia presente una connessione finanziaria tra l’influencer e l’azienda, il pubblico ha il diritto di essere a conoscenza di questa relazione”. L’autority americana ha quindi specificato che “la relazione esiste sia che si venga pagati per un particolare contenuto social o meno” ma se si sta promuovendo un brand o un prodotto questa deve essere resa nota “anche se si tratta di uno sconto da un dollaro perché questo ha un incentivo nella pubblicazione dell’immagine”.

Sulla stessa lunghezza d’onda si è mossa la potentissima Asa, l’agenzia inglese ottenendo che i contenuti sponsorizzati fossero chiaramente identificati con la dicitura #ad o #advertising. D’altra parte il problema come osservano gli esperti è urgente: “Native advertising e pubblicità sui social sono molto insidiosi perché spesso sono talmente ben mascherati nel contenuto in cui vengono inseriti che il consumatore medio non se ne accorge. Ma, ovviamente, anche se non viene percepito come pubblicità, il messaggio raggiunge il suo scopo” spiega Camilla Giannecchini, avvocato milanese che lavora a Londra per una digital company.
Selena GomezAd anticipare i cambiamenti italiani è – indirettamente – Chiara Ferragni: in alcune delle foto pubblicate più recentemente compare per la prima volta la scritta #ad. Un tentativo per mettere in chiaro che si tratta di pubblicità a tutto tondo. Certo per tutelare meglio i consumatori sarebbe meglio usare un parola italiana (per esempio #pubblicità), ma proprio per questo serve un intervento del legislatore. In Gran Bretagna come tutti i paesi di common law vige il principio della casistica per cui è molto più facile intervenire, mentre nel resto dell’Europa continentale è tutto molto più complesso. L’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria (Iap) si sta muovendo in questa direzione e potrebbe essere pronto a intervenire entro poche settimane, dando così un segnale forte all’intero movimento. Certo il codice di autodisciplina non è vincolante per tutti, ma solo per chi lo sottoscrive; tuttavia le aziende sono ormai consapevoli che per la propria reputazione è spesso più pericolosa una cattiva pubblicità che una sonora multa.
anna tatangeloD’altra parte senza alcun intervento normativo le authority italiane hanno le mani legati anche perché la digital chart di Iap non fornisce indicazioni rilevanti, ma serve piuttosto a fare una ricognizione della situazione: “Il fine promozionale del commento o dell’opinione espressa da celebrity/influencer/blogger, qualora non sia già chiaramente riconoscibile dal contesto, deve essere reso noto all’utente con mezzi idonei” che tuttavia sono scelti liberamente dall’inserzionista. Per esempio si ritiene che per rendere riconoscibile la “la natura promozionale dei contenuti postati sui social media” sia sufficiente pubblicare il nome del brand; quello della campagna pubblicitaria e magari il link al sito internet del marchio. Esattamente quello che vogliono gli inserzionisti per aumentare la loro visibilità. E senza dichiarare pubblicamente che si tratta di pubblicità.

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